lunedì 18 febbraio 2013

Il fascino di Partenope


"Che cos'è Napoli?" è una di quelle domande che mi pongo da anni, ed alla quale credo, non saprò mai rispondere con precisione ma solo attraverso le tante sensazioni che questo nome, questa città riescono a suscitarmi. Non so nemmeno come mai il mio pensiero sia rimasto catturato dal fascino di quel luogo che ho visitato soltanto tre volte e con il quale non avrei alcuna affinità per provenienza, usanze, mentalità. O almeno così credevo.
In realtà mi sono reso conto di subire il fascino di quella terra soltanto dopo averla visitata, dopo averne riletto attentamente e appassionatamente la storia, ascoltato la sua musica antica e avendone studiato le bellissime vedute settecentesche di un pittore tedesco che si chiamava Jakob Philipp Hackert.
Perchè se si vuol  tentare comprendere Napoli, io credo che si debba calarsi nel profondo di una civiltà. Bisogna fare uno sforzo: quello di scavalcare momentaneamente la crudele realtà dei fatti di una città afflitta da grandi problematiche di cui putroppo abbiamo imparato a conoscere gli aspetti ben peggiori.
Sia chiaro che secondo me tali aspetti meritano di essere trattati con la più alta serietà e razionalità, ma non è questo l'aspetto che voglio indagare, ci sono persone ben più autorevoli di me che possono farlo.
Vorrei invece tentare di raccontare quell'impressione affascinante che ho di quel luogo:  l'impressione che mi suscitò il Vesuvio in un afoso pomeriggio di maggio, un gigante altero e superbo che dominava dall'alto le poche colonne superstiti.
Il Vesuvio, proprio lui, il più ritratto tra i vulcani, che avrei ritrovato anche nelle nelle poesie di Leopardi, era per me una splendida forma da conoscere così come lo era la storia tragica dell'eruzione del 79 d.c.
La storia di Napoli... mi piace immaginarla come una grande sfilata di popoli antichi, conquistatori a cavallo, gloriose ed effimere rivoluzioni, eventi sempre accompagnati da feste e musica popolare.
Perchè anche se l'occhio razionale vorrebbe che osservassi quella storia come insieme di miserie, violenze e conquiste; altrettanto attentamente non posso non vedere anche gli aspetti più affascinanti di tutti quei segni, di quelle tracce che ogni dominazione ha lasciato in quella città.
E allora vedo il gotico degli Angiò, che portarono tutta la loro nordicità in riva al golfo, costruendo castelli e chiese dalle forme slanciate, instaurando il potere regale e una loro corte che nella frammentazione di allora era degna del rango europeo.
La Napoli in cui lavorò Giotto, dove regnarono le due intriganti regine Giovanne, la stessa città in cui Boccaccio insegna ad Andreuccio da Perugia che per difendersi dai ladri bisogna essere ben più scaltri di loro.
C'è poi la Napoli rinascimentale degli Aragona, fotografata in una minuziosa veduta quattrocentesca; una città di mare rappresentata con grande raffinatezza ed in cui è facile immaginare che risuonassero musiche spagnoleggianti.
Proprio la Spagna succede agli Aragona ed impone il suo potere per due secoli di rapace viceregno, dove spicca la rivolta di Masaniello, un uomo che chiedeva giustizia e che rimase vittima della propria ambizione e del tradimento.
Il castigo per la disubbidienza al potere fu la peste, perchè Napoli fu grande anche nelle epidemie che nei secoli la colpirono spesso e duramente.
Ma dal buio delle tele seicentesche alla luce del settecento il passo fu breve: Napoli fu di nuovo capitale di un regno: quello di Carlo III di Borbone.
Ed è questa città settecentesca quella che mi affascina di più. Quella dei buoni propositi degli intellettuali illuministi, delle riforme del ministro toscano Bernardo Tanucci, del pensiero moderno dei filosofi Filangieri e Genovesi e anche delle leggendarie alchimie del principe di San Severo, nobile esperto nell'occulto che avrebbe iniettato del piombo nelle vene certi suoi servi, per la mania di studiarne i vasi sangugni.
E poi c'è la musica: il teatro San Carlo, dalle raffinatissime finiture scarlatte e sotto il cui soffitto affrescato si celebra il "bel canto" attraverso le opere dei più illustri compositori.
Si costruiscono le due regge di Caserta e Capodimonte, esempio di grandezza non solo architettonica ma anche d'intenti.
Per motivi dinastici arriva anche l'abdicazione del re Carlo a cui succede il figlio, l'eccentrico Re Ferdinando dominato dalla moglie, l'austriaca Carolina donna coltissima quanto intrigante.
Il fermento culturale è accompagnato da quello del vulcano, le cui eruzioni in quel secolo furono talmente tante e puntualmente ritratte, da essere rappresentate quasi come uno spettacolo teatrale.
E a chiudere questo sfolgorante settecento vennero le rivoluzioni con le loro repubbliche, e anche a Napoli ne venne creata una dopo la fuga del re a Palermo.
Storia ammirevole quella della repubblica partenopea, della quale la città può essere orgogliosa.
Un governo che se anche fu voluto dai francesi, vide la partecipazione di grandi uomini e donne, intellettuali illuminati che combatterono per un mondo nuovo e più giusto.
Ebbero la loro occasione, si misurarono con le responsabilità del potere, fallirono, e coraggiosamente affrontarono la morte e il tradimento.
Dunque ecco da dove nasce quel fascino al quale accennavo, quello delle immagini e dalla storia anzi dalle storie, di questa grande città.
Perchè ormai di una cosa sono abbastanza convinto: Napoli non dovrebbe essere soltanto le sue miserie moderne perchè è anche molto di più, è tutta le sue storie, le sue belle vedute, la sua grande musica; è la varietà di un'antica capitale che si affaccia sul mediterraneo.




 

(tavola Stozzi 1472- Napoli aragonese)
 








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