domenica 23 dicembre 2012

Necessità di ragione

Talvolta succede di ripensare alle proprie esperienze e di riconoscerne alcune, che scopriamo esser diventate fondamentali per sviluppare il nostro modo di pensare attuale.
Intendo dire che più che a idee astratte, il nostro pensiero si ispira sempre a fatti concreti che ci colpiscono e di conseguenza determinano il nostro metodo di interpretare ed agire nelle cose della vita. Personalmente, nel ripensare all'esperienza del liceo ho scoperto che forse c'è un particolare insegnamento che ne è derivato e che ha assunto per me una certa preziosità.
Si tratta della capacità di rendersi conto della realtà, il voler vedere sempre le cose nella loro concretezza, insomma quello che chiamerei un sano atteggiamento al realismo.
In italiano lo si definisce come:

 "Atteggiamento di chi si attiene ai fatti e valuta le situazioni nella loro concretezza, SIN: pragmatismo: dimostrare r. nell'affrontare una situazione"

(Sabatini- Coletti, dizionario della lingua italiana)

L'attenersi ai fatti concreti, il guardare le cose per quello che sono davvero, è un compito di cui ho imparato a sentire l'importanza.
Quello che più mi interessa è quel sinonimo di "pragmatismo"ovvero, come spiega la definizione, dimostrare realismo nell'affrontare una situazione.
Difficile ma non impossibile; (dovrebbero raccomandarlo sulle ricette dei medici!)
perchè aiuta veramente a mettere ordine nelle cose della vita e anche a comprendere meglio le persone, non solo i fatti.
Si potrebbe controbattere che una vita impostata soltanto su un atteggiamento troppo razionale potrebbe perdere tutto il suo aspetto umano e scivolare verso un lento deprimersi.
Ebbene io credo (ben lungi da qualsiasi eccesso) che forse qualche volta deprimersi possa essere anche necessario. Si tratta di una condizione che stimola il pensiero, ci porta a riflettere sui nostri possibili errori ed evitare un orgoglio nelle cose, che talvolta è assurdo. A noi va il compito difficile, di essere in grado di far seguire alla presa di coscienza, la fase del positivo.





("Il sonno della ragione genera mostri" Francisco Goya, acquaforte 1797)







 

venerdì 14 dicembre 2012

Antichi eclettismi

Descrivendo il tardo gotico, mi sono reso conto che sarebbe molto interessante tentare di individuare un altro tipo di arte, che si realizza anche questa alla metà del '400 e che prova a fondere, forse per necessità o per attaccamento a certe forme, elementi gotici con elementi "classici".
Fondere il gotico, massimo progresso del modo di costruire moderno (per allora) con elementi dell'antichità romana, era una bella sfida.
Significava fondere due idee di rappresentare, del tutto in antitesi tra loro e che derivano da due linee in contrasto fisico.
Il gotico dalle linee complesse, leggero e slanciato ma allo stesso tempo stabile, sarebbe dovuto andar d'accordo con nuove architetture sullo stile degli antichi, dalle linee pure e sobrie, ma spesso molto forti, quasi pesanti.
Per comprendere bene quello che a prima vista sembra un vero contrasto, può essere molto utile capire che percezione avessero di se stessi  gli uomini di quei tempi.
Un caso esamplare può essere la formazione di un uomo come Dante, che nella sua Commedia dimostra di aver ricevuto quella tipica degli antichi, specialmente nei riferimenti ai filosofi greci e al sistema tolemaico su cui si basa la geografia del suo poema. I colti dell'epoca del poeta dovevano "pensarsi" come la prosecuzione dell'antichità classica. Non esisteva infatti quella rottura che noi posteri abbiamo ideato, tra età romana ed età di mezzo.
Per loro si era trattato solo di un avvicendamento di potere e di persone, ma la cultura restava quella millenaria degli antichi, di cui i colti e gli artisti dell'umanesimo avrebbero intrapreso tra breve la riscoperta.
Il tentativo dell'arte, di fondere gli elementi gotici con quelli antichi, lo intenderei dunque come la voglia dei quattrocenteschi di creare cose alla maniera degli antichi greci e romani, ma servendosi di nuove tecniche che avevano fornito risultati eccellenti.
Mi viene in mente l'esempio della cupola del Brunelleschi, che secondo il nuovo modo costruire dell'architetto, avrebbe potuto certamente sfruttare l'arco a tutto sesto e invece per farla ancora più grandiosa venne usato l'arco a sesto acuto del gotico, che anche le dona quella particolare forma slanciata.
Scendendo invece a un livello più personale e più decorativo, un'altro esempio che ho sotto gli occhi fin da bambino e che mi ha portato a comprendere meglio questo aspetto, è quello della chiesa della Cittadella a Piombino, che in pochissimi conosceranno, fatta eccezione per i piombinesi e gli appassionati.
Si tratta di un'antica chiesetta che faceva parte del palazzo dei principi Appiani, di cui resta soltanto la corte con il pozzo e gli ambienti che furono della servitù, oggi adibiti a museo del territorio di Piombino e Populonia. Nonostante il degrado che ha subito questo luogo, (il palazzo principesco venne abbattuto per far posto ad una villetta e il cortile è stato asfaltato) dopo qualche restauro è possibile ammirare la facciata della chiesa che sembra davvero la rappresentazione di un tempietto greco, meravigliosamente combinata con un elegantissimo rosoncino gotico.
Non è niente di grandioso e nemmeno di formale, anzi si trova in un posto dimenticato da tutti, ma proprio per questo è semplicemente meravigliosa.



 

domenica 9 dicembre 2012

Les Passantes

Questa sera vorrei lasciar cantare una grande voce, quella di Fabrizio De Andrè, in una delle sue più poetiche interpretazioni della solitudine.

venerdì 7 dicembre 2012

L'attardarsi del gotico

Ho sempre seguito la mia curiosità attraverso le molte stagioni della storia dell'arte, fino a quando non mi sono reso conto che la cosa stava cominciando ad appassionarmi. Infatti da un certo momento è diventata il mio più grande interesse.
Ho provato anche a ricostruire come fosse andata la cosa e mi sono reso conto che tutto deve essere cominciato sfogliando delle monografie che trovai in casa e che illustravano un po' tutta Firenze.
Libri di grandi dimensioni con immagini grandi, curati da garndi professori (nomi come quello di Paolucci, attuale direttore dei musei vaticani) che mia madre, impiegata della banca, riponeva senza troppa cura nella libreria di salotto.
A loro devo la scoperta di quella stagione che troppo scolasticamente chiamano "tardo gotico".
Che vuol dire "tardo gotico"? per me si tratta del gotico che ha fatto tardi in pieno quattrocento, il gotico a cui Masaccio taglia la strada, inventando una cosa chiamata rinascimento, ma solo per Firenze. Per gli altri, per allora c'è ancora tempo.
In realtà è un momento di massimo perfezionamento di un modo di creare che, raggiunte (anche fisicamente) le vette del cielo, a un certo punto doveva per forza reinventarsi. Gli artisti si concentrarono su una maggiore eleganza delle forme, sulla"preziosità" e sulla natura, rappresentata nei suoi più piccoli dettagli.
Pisanello è il nome che secondo me descrive meglio questo momento, un nome ancora sconosciuto tra chi non si interessa molto di queste cose, ma il cui fascino sta proprio nei disegni preparatori delle sue poche opere rimaste.
Mi colpiscono di lui l'eleganza, la finezza con cui rappresenta la complessità di qualsiasi cosa, compresa quella della natura.




 
 


 



lunedì 3 dicembre 2012

Considerazioni sulla volgarità

Da qualche tempo la mia attenzione si è posata su un aspetto umano che caratterizza fortemente il vivere di tutti i giorni: la volgarità.
La volgarità è definita come "Natura di chi o di ciò che è grossolano; mancanza di buon gusto"(Sabatini Coletti- dizionario della lingua italiana) e aggiungerei che si palesa come un atteggiamento, un comportamento al quale le persone tendono a lasciarsi andare in certe circostanze. Attualmente le circostanze sembrano andare indistintamente dall'intimità al pubblico e forse si tratta di un regresso della società moderna, che pur essendo progredita nel formare le persone, sembra voler mantenere degli atteggiamenti che potevano essere scusati all'epoca in cui non tutti venivano educati. Va detto che la volgarità è sempre esistita e come molti tratti umani non è certo eliminabile, ma solo correggibile. Può essere soltanto controllata; forse oggi si tende a lasciarla emergere un po' troppo spesso, ma non è questo il tema che mi interessa toccare.
Trovo molto più importante domandarsi da che cosa nasce il bisogno di essere volgari.
Una risposta a questa domanda mi è sembrata essere quella che vede nella volgarità una soluzione semplice, troppo semplice, alla necessità di comportarsi "bene".
Non tanto secondo certi schemi imposti e pedanti, ma soltanto nel modo che non danneggi gli altri e tanto meno noi stessi.
Atteggiarsi al parlare correttamente ed in maniera semplice, all'umorismo per esempio, che non sia scurrile ma che riesca a divertire lo stesso, è molto più difficile dell'essere volgari.
La volgarità è dunque un comportamento più facile da tenere (ci viene quasi naturale) ma non è che un'illusione di libertà, non comunica niente di nuovo e nemmeno di sconvolgente, ed è appunto per questo un atteggiamento banale.