lunedì 3 dicembre 2012

Considerazioni sulla volgarità

Da qualche tempo la mia attenzione si è posata su un aspetto umano che caratterizza fortemente il vivere di tutti i giorni: la volgarità.
La volgarità è definita come "Natura di chi o di ciò che è grossolano; mancanza di buon gusto"(Sabatini Coletti- dizionario della lingua italiana) e aggiungerei che si palesa come un atteggiamento, un comportamento al quale le persone tendono a lasciarsi andare in certe circostanze. Attualmente le circostanze sembrano andare indistintamente dall'intimità al pubblico e forse si tratta di un regresso della società moderna, che pur essendo progredita nel formare le persone, sembra voler mantenere degli atteggiamenti che potevano essere scusati all'epoca in cui non tutti venivano educati. Va detto che la volgarità è sempre esistita e come molti tratti umani non è certo eliminabile, ma solo correggibile. Può essere soltanto controllata; forse oggi si tende a lasciarla emergere un po' troppo spesso, ma non è questo il tema che mi interessa toccare.
Trovo molto più importante domandarsi da che cosa nasce il bisogno di essere volgari.
Una risposta a questa domanda mi è sembrata essere quella che vede nella volgarità una soluzione semplice, troppo semplice, alla necessità di comportarsi "bene".
Non tanto secondo certi schemi imposti e pedanti, ma soltanto nel modo che non danneggi gli altri e tanto meno noi stessi.
Atteggiarsi al parlare correttamente ed in maniera semplice, all'umorismo per esempio, che non sia scurrile ma che riesca a divertire lo stesso, è molto più difficile dell'essere volgari.
La volgarità è dunque un comportamento più facile da tenere (ci viene quasi naturale) ma non è che un'illusione di libertà, non comunica niente di nuovo e nemmeno di sconvolgente, ed è appunto per questo un atteggiamento banale.



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